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Nell’ambito della comunicazione il marchio è il punto di partenza di qualsiasi progetto grafico di immagine coordinata, stando a monte di tutto ciò che verrà nel tempo. Dalla carta intestata al bigliettino da visita, dai gadget personalizzati al sito web, e così via...Tutto comincia dal marchio: rappresenta la sintesi in quanto riassume - o almeno dovrebbe - tutti i significati e/o concetti relativi alla comunicazione di un bene o servizio che il soggetto rappresentato (azienda, singolo professionista ecc.) intende valorizzare.In sintesi, quindi, un marchio “[...] Svolge il compito di simboleggiare l’azienda [o la persona, l’ente, il prodotto] attraverso un’espressione grafica conscia e adeguata [...]. Dal marchio riceviamo una prima inconscia impressione dell’azienda [...] Ci dirà se è seria, preparata, solvibile, matura, efficiente”. (G. Motti, Guida alla pubblicità industriale, Franco Angeli, Milano 1989).

Spesso però quando si parla di marchio o di logo si tende a far confusione, tanto tra i “profani” quanto tra gli addetti ai lavori. Il cliente sovente non ha le idee molto chiare in merito quello che realmente vorrebbe ed è compito del graphic designer guidarlo, in primo luogo presentandogli dettagliatamente l’ampio ventaglio di scelte possibili.

In primis è necessario precisare una cosa importantissima: marchio e logo non sono la stessa cosa. Il logo (inteso come abbreviazione di “logogramma” o di “logotipo”) è la componente tipografica del marchio, che potrà essere costituito, come vedremo, solo da testo, da testo e figura (dove per figura intendiamo un segno grafico) o anche solo da quest’ultima.

Le classificazioni tipologiche dei marchi spesso differiscono a seconda della fonte. Una delle più complete, seppur sintetica, è forse quella offertaci da Clemente Francavilla nel suo manuale Progettazione Grafica - Le regole della comunicazione visiva fra design e advertising (Hoepli, Milano 2007). L’autore, riprendendo Monachesi, individua prima di tutto due macro categorie:

Alle macro categorie di cui sopra fanno riferimento, rispettivamente, quattro e due sottocategorie.

Per quanto riguarda i logogrammi, questi potranno essere:

Quanto invece ai pittogrammi, possiamo avere:

Ovviamente un marchio può essere anche una combinazione di più elementi: nella maggior parte dei casi, infatti, troviamo un pittogramma (marchio figurativo) accostato a una componente tipografica (tipogramma, logotipo o monogramma).

Tutto chiaro no? Ma proviamo a prendere in esame qualche esempio concreto:

Logo Nike Fonte immagine: nike.com/it

Il marchio della Nike, ideato nel 1971 Carolyn Davidson, studentessa dell’Università di Portland, è un pittogramma (ovvero un marchio figurativo) e più precisamente un ideogramma, in quanto non rappresenta una scarpa (ovvero uno dei prodotti commercializzati dall’azienda) ma un’idea, una serie di concetti riconducibili al brand: quello di vittoria, di movimento e di velocità, raffigurati mediante un unico segno grafico slanciato che simboleggia una delle ali della dea greca Nike, la personificazione della vittoria sportiva, per l’appunto. Curioso sapere che per il suo lavoro l’autrice venne pagata solo 35 dollari!

Logo CocaCola Fonte immagine: coca-colaitalia.it

Il marchio della Coca Cola, ideato nel 1887 da John Pemberton e ritoccato svariate volte nel corso degli anni, è invece un logogramma (rappresentazione grafica del nome del prodotto) e in particolare un logotipo, in quanto propone una soluzione originale del lettering - in questo caso elaborata a partire da una famiglia di font preesistente, la Spencerian Script.

Anche il marchio della Disney può essere definito “logotipo”, forse ancor più legittimamente di quello analizzato in precedenza, in quanto è tipografico ma non utilizza font appartenenti a una famiglia preesistente: è stato infatti elaborato a partire dalla firma di Walt Disney, il fondatore della celebre multinazionale.

Logo EasyJet Fonte immagine: facebook.com/easyJetItalia

Il marchio EasyJet rientra nella categoria dei logogrammi, ma in questo caso - secondo la classificazione del Francavilla - sarebbe più corretto parlare di tipogramma, in quanto costituito da un lettering composto, senza apportare alcun tipo di modifica o personalizzazione grafica, mediante una font preesistente: la Cooper Black.

Altri esempi simili? Il marchio American Airlines (Helvetica), quello della celebre trasmissione statunitense Saturday Night Live (Gotham) o quello di Facebook (Klavika Bold).

Logo Apple Fonte immagine: apple.com

E il marchio della Apple? Rappresenta una mela, che è qualcosa di concreto, ed è un riferimento diretto al nome dell’azienda di Cupertino...Quindi è un iconogramma? Aspetta! Ma la Apple nei fatti non vende mica mele..É forse più corretto definirlo ideogramma?

Come possiamo dedurre da quest’ultimo esempio, i “confini” tipologici spesso possono essere molto sottili e una classificazione categorica e definitiva non sempre è possibile. Quel che è certo è che la progettazione grafica di un marchio offre infinite possibilità e combinazioni. Un graphic designer consapevole dovrebbe evitare di improvvisare affidandosi all’estro del momento ed essere in grado di esplorare sistematicamente tutte le strade possibili e immaginabili. Logogrammi, logotipi, monogrammi, pittogrammi e ideogrammi: solo conoscendo e prendendo in considerazione tutte le alternative il creativo potrà giungere - o quantomeno avvicinarsi - alla soluzione più giusta, ovvero alla realizzazione di un marchio nel quale il committente riuscirà a identificarsi pienamente. Tutto ciò, ovviamente, non può non avvenire nel pieno rispetto di alcuni requisiti tecnico-progettuali imprescindibili, quali la chiarezza e la semplicità compositiva, la facilità di esecuzione e riproduzione, la leggibilità nelle diverse scale e tanto a colori quanto in bianco e nero...Ma questo, ovviamente, è un altro topic.

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